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Ilalice
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E' talmente tanto tempo che non scrivo che non so davvero da dove cominciare.

Dunque. L'ultimo post risale a Ottobre e non dice moltissimo di me. Ottobre... l'autunno è passato abbastanza dolcemente, Natale mi ha rivisto a Sassari e poi è arrivato il puro massacro dell'inverno. Da Gennaio a fine Marzo ho lavorato come una bestia da soma. Passavo le mie giornate all'Università a sgobbare per mettere insieme una proposta di ricerca degna di questo nome, e le mie nottate al pub per raggranellare qualche soldo. Alla fine la proposta di ricerca l'ho anche scritta e presentata. Si tratta di un progetto sul teatro di narrazione e sul teatro politico in Italia. Un progetto che si concentra principalmente sull'analisi delle forme drammaturgiche ma che possiede anche i suoi elementi storiografici. Il lavoro sul progetto mi ha consumato per tre mesi ma alla fine ce l'ho fatta. Ho consegnato la mia domanda per la borsa di dottorato. Quasi settanta domande, undici borse in tutto. Mi chiamano per un colloquio, 3 Aprile. Vado al colloquio pensando che se sono stata convocata significa che il mio progetto non è esattamente campato per aria, ma non nutro moltissime speranze.

Passano le settimane, mi concedo qualche giorno in Terra Sarda per ricaricare le batterie e raccogliere un po' di materiale sulla tesi del master (mi sto divertendo come una pazza, sto studiando Franca Rame e vorrei collegare il suo lavoro al dibattito neofemminista degli anni settanta).
Torno dalle mie vacanze e riprendo la solita vitaccia (per parafrasare Franca Rame, tutta casa, pub e università).

la settimana scorsa ricevo una email che dice
"Dear Iliaria (non uno che scriva il mio nome correttamente)
I am pleased to inform you that SALL Board of Graduate Research is offering you a University doctoral bursary"

Come direbbe Peter Griffin "Oh cacchio"...

Insomma, dopo tanti dubbi, tante notti insonni, qualche vano tentativo di fare altro, ho accettato il fatto che il teatro è la mia vita. Adesso sì. Questo è quello che farò da grande. Lo studierò, ne scriverò, lo insegnerò ad altri. Non credo ci sia ancora posto per me su di un palco, ma giù dal palco c'è tanto da fare.

Queste le novità. Lunedì accetterò l'offerta dell'Università di Exeter e resterò in Inghilterra per altri tre anni. Dopo si vedrà.

Vi abbraccio
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...

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rassegna.governo.it/testo.asp?…

Ma l'avete letto? Ma a queste parole non è scoppiato un casino? E Cossiga si è barricato in casa o ha ancora il coraggio di farsi vedere per strada?

Non ho parole, sono solo incazzata e disgustata. Il mio "illustre" concittadino... che schifo...
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29 Settembre

4 min read
Non posso scrivere un post il 29 settembre e non fare gli auguri di compleanno a quello scriteriato di mio fratello che oggi compie 20 anni. Cifra tonda. 20 anni fa a quest'ora mi perdetti nei corridoi del reparto maternità del Policlinico Sassarese: non so esattamente come sia successo, ma ero in ospedale con babbo e nonna e a un certo punto me li sono persi. Vagando in lacrime, preoccupata per mamma e fratellino, incavolata con babbo e nonna che non riuscivo più a trovare, incontrai una gentile signora col pancione che mi riportò davanti alla porta della sala parto dove stavano i parenti distratti dagli eventi. Avevo 6 anni.
Ora io e Gabriele siamo un po' più cresciutelli, i miei genitori pure e nonna, ahimè, non c'è più, ma mi piace ricordare l'avvenimento. Auguri Gabriè, quando eravamo bambini ero gelosissima perchè tu eri quello piccolo e carino che si prendeva tutte le attenzioni, quando siamo cresciuti ci siamo scannati un giorno si e l'altro pure, ma ti ho sempre voluto bene da qui all'eternità.

Intanto la vita universitaria qui a Exeter si anima. E' iniziata la freshers week, la settimana delle matricole, ne ho avuto il primo sentore ieri al pub. Domenica sera, ho iniziato il turno a mezzogiorno e resto fino a chiusura, ore 1 antimeridiane, potete immaginare il mio livello di rottura di palle dietro il bancone del bar dopo le prime 8 ore. Verso le nove si fa un po' più tranquillo e inizio a fantasticare di un bar pulito e in ordine che mi consenta di fare armi e bagagli e trascinarmi a casa.
Alle 9 dietro il bancone siamo io, Joel e Nathaniel, uno più scazziato dell'altro. La sera si fa quieta, ma è come l'acqua che si ritira prima dello tzunami. Nel giro di 10 minuti il pub si riempie come neanche nel più inferocito sabato sera. Freshers, maledettissime matricole, vogliono tutti bere, dimostrano tutti 14 anni e devo chiedere carte d'identità a nastro (in UK è illegale servire alcolici ai minorenni).
Le 9, le 10, le 11... non se ne vanno, anzi ne arrivano altri. Finiscono i bicchieri, finisce la birra, finiscono le monete nella cassa (arrivano tutti col biglietto da 20, i freshers), io vado avanti come un automa ma mi sorpendo a immaginare meteoriti che cadono sul pub a sterminarli tutti. Le 12, halle-f******-lujah, possiamo suonare quella maledettissima campana e chiudere bottega. Nathaniel va a casa lasciando me e Joel da soli con le macerie. Dovevo andarmene all'una, riesco a mettere il naso fuori solo alle 2 e mezza, 14 ore e mezza di turno, pensavo succedesse solo nei bar sardi durante la stagione.

Nonostante le matricole (o forse a causa loro, non sono poi tanto male da sobri), al campus si respira una bella atmosfera. Le biblioteche, la Great Hall, la Students Guild si animano. I giardini attorno al campus si coprono dei vivissimi colori dell'autunno inglese, tutte le tonalità immaginabili del giallo e del rosso che risaltano sui prati sempreverdi. Il cielo è terso, l'aria frizzante e l'Inghilterra in autunno è bella e dolce. Gli studenti vanno al pub, io mi godo lo spettacolo.

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THE ONE WHO MAKES ME HAPPY
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Le 17,30 nel negozio in cui ho lavorato fino a venerdì. L'atmosfera si fa pesante, come tutti i giorni alle 17,30. Non appena il manager ci fa segno che possiamo sbaraccare, il negozio si trasforma nella finale olimpica dei cento metri. Ci fiondiamo nella staff room, ci prendiamo a gomitate per raggiungere i rispettivi armadietti, borsa, giacca, see you tomorrow e via; chi ha il fidanzato che aspetta fuori in macchina, chi si teletrasporta alla fermata dell'autobus pregando tutti i santi del paradiso che non sia ancora passato, chi indossa un paio di scarpe da tennis e si avvia verso casa.
Io no. Io recupero la mia giacca, il mio zaino (quello di pelle comprato a Granada nel 2006), il mio casco e volo fuori. Parcheggiare una bicicletta a Bristol è un po' come giocare d'azzardo, non sai mai quello che ti capita. Nel punto in cui lego sempre la mia una mattonella recita "Everytime a bike is stolen, a fairy dies", ogni volta che qualcuno ruba una bicicletta, una fata muore.
Ma insomma, la mia bicicletta per fortuna è ancora li. Ringrazio la mia buona sorte e mi avvio verso casa.
Union Street, tutta discesa, sarebbe anche facile se non ci fossero sempre quattro o cinque autobus a dare un po' di brivido al povero ciclista, ma anche stavolta ce la faccio. Il pub all'angolo suona una canzone di Bob Marley, canticchio e continuo a pedalare fino all'arrivo al momento della verità: la rotatoria più grande e incasinata che si ricordi a memoria d'uomo. Rotatoria con semaforo, aspetto il verde e mi raccomando a Dio (uno qualunque), seconda uscita, poche pedalate e sono li.
Stokes Croft, una delle strade più degradate e allo stesso tempo più vitali di tutta Bristol: alcolizzati senza fissa dimora, spacciatori di crack, artisti, bordelli mascherati da centro massaggi e fish and chips shops. Niente di preoccupante ci passo tutti i giorni e non mi è mai successo nulla, certo non ci lascerei la bicicletta: potrebbero rubarla o, peggio, uno degli artisti potrebbe ridipingerla. Nonostante il degrado (il comune se ne frega da sempre) c'è un bel senso di comunità, gli abitanti fanno del loro meglio per trsformarla in un posto decente, ci sono un paio di coffee shops molto carini e mezza Bristol passa di qua tutti i giorni per andare al lavoro in centro.
Semaforo, aspetto il verde e giro a destra, poi subito a sinistra.
Picton Street, leggera discesa che mi permette di riprendere fiato. Siamo entrati a Montpelier, il mio quartiere, case giorgiane, furgoncini VolksWagen con tavole da surf sul portapacchi, tanta musica, tante giovani coppie che hanno fatto il nido qui, in questo splendido quartiere fricchettone quanto basta. Passo il Bristolian Cafè, il centro yoga, l'alimentari italiano, la boutique di abiti usati, il kebab, il newsagent, e il Thali Cafe (tapas indiane).
York Road, leggera salita, troppa pendenza per farla in scioltezza, troppo poca per salire sui pedali, gioco con le marce per poco meno di un kilometro. Case bellissime, sono stanca ma le guardo tutti i giorni.
Svolto a destra e prima di arrivare a Farfield Road ci sono circa 40 metri di salita vera, salgo sui pedali, mi concentro sulla respirazione per non sentire la fatica. Faccio un pezzetto di Farfield Road, giro a sinistra in Fairlawn Road e finalmente sono a casa. Alice, la gatta della vicina sta, come al solito, bighellonando in cortile, smonto dalla bici e non posso resistere alla tentazione di coccolarla e riempirmi di peli. Saluto Alice, apro la porta, metto dentro la bici.

E ora che non sono più a Bristol, ora che Exeter sarà la mia città per i prossimi 12 mesi, ora mi sento un po' "Bristolian" e mi mancano quelle strade e quelle facce tanto familiari.
Questo è il ricordo più nitido che ho di Bristol. Per scoprire Exeter c'è un sacco di tempo.
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Mi sono già occupata dell'argomento, ma credo che non sia mai abbastanza.

italiadallestero.info/archives…

L'articolo è tratto dal Guardian e leggerlo mi ha fatto stare fisicamente malissimo e mi ha fatto profondamente vergognare del mio paese. Leggerlo mi ha fatto sentire tutto il disprezzo che si cela nella parola "sbirro". Non sono il tipo che fa di tutte le erbe un fascio, non ce l'ho con la Polizia, anche perchè quelli che hanno massacrato decine di persone alla scuola Diaz il 20 luglio 2002 non sono poliziotti, sono sbirri della peggior specie. Impuniti, come solo gli sbirri sanno essere. Per quattro giorni lo stato di diritto è stato sospeso, per quattro giorni ci siamo ritrovati nella più sanguinaria delle dittature.

Ribrezzo, ecco quello che provo. Ribrezzo, schifo e tanta, tanta paura. Ma mai quanta quella che devono aver provato i poveri cristi che decisero di passare la notte alla Diaz.
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